mercoledì 13 agosto 2008

Una crisi del Diavolo, parte 2

Astaroth sedeva alla scrivania del Grande Capo, fingendo fosse la sua. Adorava starsene ore ed ore sprofondato nella poltrona dirigenziale con le gambe incrociate sul ripiano e un cubano stretto tra i denti.
D’altronde, da quando Lucifero se n’era andato, non c’era poi molto altro da fare.
Tutti pensavano che lui o quel perfettino di Belzebù avrebbero preso il suo posto ma, a quanto pareva, non era così semplice…d’altronde nessuno sapeva bene come comportarsi; era la prima volta che il trono infernale restava vacante.
Belzebù entrò accigliato nella stanza; lanciando uno sguardo di gelida disapprovazione ai suoi Camperos.
“Ti spiacerebbe togliere quei dannati stivali dalla scrivania? Tra poco abbiamo una riunione.”
Astaroth capì che non era il caso di provocarlo ed obbedì, senza fare storie.
“Un’altra riunione? Ne abbiamo fatta una due giorni fa. Chi ci mandano stavolta dai Piani Alti?”
Belzebù rispose senza sollevare la testa da alcuni fogli che stava scorrendo.
“Credo Gabriele e Michele, come l’altra volta.”
Astaroth sorrise. “Uh, Michele, bene. Speriamo che porti la spada fiammeggiante…”
Belzebù lo fissò con aria preoccupata, posando i fogli che stava leggendo sulla scrivania.
“Qui è un casino, non possiamo continuare così. L’Inferno è come paralizzato. Nessuno prende decisioni; nessuno si occupa dei nuovi arrivati, i sindacati hanno proposto di trasformare l’Inferno in una cooperativa. Dobbiamo trovare una soluzione, prima che sia troppo tardi..”
“Da quanto manca Lucifero ormai?”
“Sei mesi…”
Astaroth schioccò le dita e una fiammella prese vita dal suo pollice; accese il cubano e, dopo averne aspirato un paio di boccate, si chiese a mezza voce.
“Chissà che fine avrà fatto?”

Ettore faceva il barista da quando aveva sedici anni; aveva cominciato aiutando suo zio durante l’estate e non aveva più smesso. Ormai aveva sessant’anni passati, e tutti, sua figlia Giorgia in testa, non facevano che ripetergli che avrebbe dovuto andare in pensione e riposare. “Avrò tutto il tempo del mondo per riposare una volta che sarò morto.” rispondeva ogni volta, con un sorriso sornione in volto, che a sua figlia faceva saltare i nervi.
In effetti, però, tra sé e sé, doveva riconoscere che non era più quello di una volta. Alzarsi all’alba e correre al bar a preparare le colazioni cominciava a pesargli e quando sollevava le casse di birra doveva poi sedersi qualche minuto, altrimenti la schiena non gli dava pace. Ma non lo avrebbe mai ammesso con nessuno.
“Ma cosa ci sarà di così bello nel tuo lavoro, poi?” gli chiedeva sua figlia esasperata.
E quando lui rispondeva “I clienti.” lei si innervosiva davvero; quasi più di quando Ettore sfoderava il suo ben noto sorriso.
Eppure era così; adorava i clienti che passavano dal suo bar. Adorava i clienti abituali, come Marta e Luca, che conosceva fin da quando erano bambini e che ora aspettavano il secondo figlio, ma adorava anche i clienti occasionali, che condividevano con lui piccoli frammenti delle loro vite, prima di scomparire nel nulla da cui erano venuti.
Ultimamente poi c’era quel cliente nuovo che lo incuriosiva non poco.
Ettore ricordava con chiarezza il primo giorno in cui aveva messo piede nel suo bar.
Era corpulento, di un’età indefinibile tra i quaranta e i sessant’anni, di bell’aspetto, a parte il viso arrossato che gli dava un aspetto da naufrago. Indossava una camicia hawaiana dai grandi motivi floreali, un panama e dei bermuda di un colore indefinibile, probabilmente di una taglia sbagliata, dato che facevano difetto sul sedere e davano la buffa impressione che l’uomo avesse la coda.
A dispetto della corporatura massiccia, l’uomo si muoveva in modo aggraziato, con una profonda delicatezza; quasi come temesse di poter rompere qualcosa se solo si fosse distratto un attimo.
Si sedette al bancone, proprio di fianco ad Ettore e gli sorrise.
“Buongiorno, sono nuovo del posto. Cosa potrei ordinare?”
Ettore gli sorrise a sua volta. “Tutto quello che desidera.”
Il sorriso dell’uomo parve farsi ancora più largo. “Perfetto! Potrebbe portarmi per favore un brodino leggero con dei capelli d’angelo? E dell’acqua di fonte, per cortesia. Vorrei restare leggero.”
“Un piatto di maccheroni al sugo e del vino rosso potrebbero andare bene lo stesso?”
L’uomo annuì. “Sì, certamente. E quel liquido arancione in quelle bottigliette dalla forma ridicola, cosa sarebbe?”
Ettore lo fissava sbigottito, faticando a stento a trattenere un sorriso.
“E’ un aperitivo. Davvero non lo conosce? Da mesi la televisione passa la pubblicità un momento sì ed un momento no.”
“Ehm, non guardo la televisione molto spesso, sa?! Posso averne uno, per favore?”
“Ma certo, vuole anche dei salatini mentre aspetta?”
Da quel giorno, risalente ormai a sei mesi prima, l’uomo, imperterrito, che piovesse o ci fosse il sole, si presentava al bar di Ettore per l’ora di pranzo e ogni giorno, finito di mangiare, gli faceva una marea di domande su come funzionavano i vari elettrodomestici o su come andava macinato il caffè e cose così. Dopodiché, andava a sedersi su una delle panchine della passeggiata e restava lì, a fissare il mare, perso in chissà quali pensieri.
Jack era esaltatissimo. Tra poco meno di un’ora avrebbe assistito alla sua prima messa nera; ci aveva messo mesi a convincere Stefano che non era solo un diciannovenne che si fingeva satanista per moda. No, lui in Satana ci credeva davvero. E, finalmente, Stefano aveva accettato di portarlo con sé al Tempio, dove lui e i suoi compagni si incontravano per rendere omaggio al Principe delle tenebre.
Erano in auto già da un’ora. Jack non avrebbe saputo dire dove si trovavano, la campagna immersa nella notte pareva tutta uguale. Finalmente Stefano fermò la macchina.
Mentre scendeva, lo guardò intensamente. “Giacomo, mi raccomando, non farmi fare brutta figura. Mi sono esposto personalmente per portarti qui, stasera e vorrei evitare problemi. Non mi interessa se sei il figlio di mia sorella, qui siamo tutte persone serie e molto motivate.”
Jack scese dall’auto, un po’ infastidito dal rimbrotto dello zio, non era mica più un ragazzino in fondo.
“Sì, sì, certo, tranquillo.”
Non sopportava più quel modo di fare degli adulti; aveva diciannove anni ormai. Era perfettamente in grado di prendere da solo le sue decisioni e invece no; secondo loro era soltanto un ragazzino immaturo che era impossibile prendere sul serio. Come il fatto del nome: aveva deciso di farsi chiamare Jack e loro no, sempre lì a chiamarlo Giacomo. “Giacomo di qua, Giacomo di là…”. Capirai cosa c’è di figo nel chiamarsi Giacomo.
Decise di non pensarci per non rovinarsi la serata.
Si incamminarono in silenzio lungo un sentiero e, dopo qualche minuto, arrivarono davanti ad una piccola chiesa nascosta nella campagna. Vi girarono attorno fino a raggiungere una porta in legno su una delle fiancate.
Stefano bussò tre volte, poi attese un istante e bussò di nuovo, altre tre volte.
La porticina venne aperta e una figura incappucciata che indossava una lunga tunica fece loro segno di entrare.
Si trovarono in quella che, una volta, probabilmente, era la sacrestia.
“Benvenuti fratelli, indossate i paramenti e poi raggiungeteci. La cerimonia sta per cominciare.”
Indossarono cappucci e tuniche e, quindi, seguirono l’uomo all’interno della chiesa vera e propria.
C’era un forte odore d’incenso e la sala era gremita; in sottofondo si sentiva un borbottio, prodotto dai fedeli che parlavano tra loro.
Dopo qualche istante si fece silenzio e dal portone principale della chiesa entrò un uomo, sempre vestito con tunica e cappuccio a nascondergli i lineamenti.
Attraversò la navata senza mai voltarsi verso i presenti, ed infine, si andò a posizionare di fronte all’altare. Dando le spalle alla folla, cominciò a pronunciare quello che probabilmente era un salmo.
Jack si sforzò di capire se l’uomo stava parlando in latino o meno, ma dopo un po’ rinunciò. Anche fosse, lui in latino aveva appena la sufficienza.
Dopo un’ora di quella nenia, intervallata soltanto da qualche risposta da parte dei fedeli e da una specie di paracomunione, a cui lui non aveva potuto partecipare, Jack cominciava ad averne abbastanza. Non era proprio così che si era immaginato la cosa.
Di colpo, la giaculatoria cessò e l’uomo si rivolse alla sala.
“Fratelli, questa sera siamo qui riuniti per evocare Lucifero, il Signore del male, il Principe delle tenebre.” L’uomo si gettò a terra e si inginocchiò.
“Satana, o Signore delle tenebre, io ti invoco. Mostraci la tua presenza, o angelo caduto. Lucifero, principe dell’Inferno, rivelati a noi, tuoi umili servitori. Io ti invoco o demone.”
L’uomo tacque improvvisamente e Jack si rese conto di non stare quasi respirando, teso com’era a cercare di cogliere una seppur minima manifestazione del Maligno.
Per un tempo che parve senza fine non accadde nulla, poi, d’improvviso, un suono terribile si diffuse per la piccola chiesa, facendo sobbalzare i presenti.
“Beep….risponde la segreteria telefonica di Lucifero; sono momentaneamente assente. Lasciate i vostri dati dopo il segnale acustico e verrete ricontattati il più presto possibile.”

Belzebù era disperato. Da ogni girone infernale arrivavano notizie agghiaccianti. Non era possibile continuare così. L’ultima riunione coi rappresentanti dei Piani Alti non aveva dato alcun frutto, come le precedenti, del resto. A volte gli veniva il dubbio che lo facessero apposta a trovare cavilli su cavilli per rallentare l’elezione di un nuovo Signore degli Inferi. L’ultima trovata era che, alla votazione, avevano diritto di partecipare tutti gli addetti ai lavori, sia dei Piani Alti sia dell’Inferno, e già per quello ci sarebbero voluti secoli; come se non bastasse, qualcuno aveva tirato fuori la questione che Dio era uno e trino e che, quindi, era necessario decidere se aveva diritto a votare una sola volta oppure tre. Belzebù cominciava a pensare che l’idea dei sindacati di trasformare l’Inferno in una cooperativa non fosse poi così male.

6 commenti:

vignez ha detto...

Bello! Bello! Bello! Bello! Bello! Bello! Bello! ...L'ho già detto che mi è piaciuto?!?

dejo ha detto...

belo racconto belo!!!!!complimenti ragazza mia,scrivi da dio,anzi da satana ihihihihih!!

Gea ha detto...

non posso che confermare! Satana al bar è da morir dal ridere!
Gabriele, Michele, i Piani Alti, Lu... ci vedo un po' di Constantine, ovviamente con altre atmosfere... può essere?
a presto con la terza parte!

Vera ha detto...

acc Gea, addiritura Constantine....magari!!! :D
*si in ginocchia sui ceci urlando "non sono degna! non sono degna!"*
sono davvero contenta che vi piaccia, grazie a tutti, siete dei tesori ^^

Anonimo ha detto...

BELLISSSSIMOOOO!!!! :D (by Uallero)

Unknown ha detto...

BELLISSSSIMOOOO!!!! Part Two.
Scusa è solo per vedere se posso accedere con l’account Google.