lunedì 20 aprile 2009

Nuova edizione (riveduta e corretta)

di Vera Bonaccini
Prezzo di vendita € 13,00
Libro NARRATIVA 196 pagine
Copertina Morbida - Formato 15x23 - bianco e nero


ps grazie a tutti i miei "lettori" che si sono accorti delle sviste ;) cosa farei senza di voi?!

lunedì 23 febbraio 2009

uno si sbatte per inventare storie avvincenti....

....e, alla fine, ci si trova precipitato dentro.....non ho parole! O.o
...e intanto prendo appunti....

giovedì 15 gennaio 2009

Grunt!!!!

mannaggia al mio disordine -.-
....avevo cominciato a scrivere il seguito de l'ultima estate ma non trovo più le pagine che ho scritto....

lunedì 1 settembre 2008

poesia...

Cade la pioggia
come lacrime da una stella
e continua
a ripeterlo all'infinito
quanto siamo fragili...

martedì 19 agosto 2008

Una crisi del Diavolo, gran finale xD

Quella mattina Ettore fece più fatica del solito a svegliarsi; gli sembrava di avere dei macigni al posto degli arti ed ogni movimento gli costava una fatica enorme.
L’idea di non aprire il bar non lo sfiorò nemmeno; in cinquant’anni di onesta carriera lavorativa, era rimasto chiuso solo due volte: la prima era stata quando sua moglie aveva partorito ed aveva dovuto accompagnarla in ospedale; la seconda quando l’avevano operato di appendicite e non era riuscito a lasciare l’ospedale prima dell’ora degli aperitivi.
Stava legando la bicicletta di fronte al bar quando, con suo immenso stupore, si accorse che al suo fianco c’era il suo cliente misterioso, con quell’improbabile camicia hawaiana.
Ettore lo salutò cordialmente; gli piaceva quell’omone. “E’ in anticipo oggi. Di solito la vedo per l’ora di pranzo.”
Lucifero gli sorrise. “Ha ragione, ma oggi la volevo salutare.”
Ettore sollevò la saracinesca. “Ah, va da qualche parte?”
L’uomo gli diede una mano e scosse la testa, dispiaciuto. “No, io no.”
“Allora entri che le preparo un bel caffè.”
Ettore morì un paio d’ore dopo. Nel bar, al momento, non c’era nessuno e quindi nessuno poté vedere, per l’ultima volta, quel sorriso sornione illuminargli il viso, al pensiero di come avrebbe reagito la figlia una volta letto il suo testamento.

Belzebù ed Astaroth sedevano uno accanto all’altro nell’ufficio che, un tempo, era stato di Lucifero.
“Beh, a quanto pare ci siamo; tra poco si saprà a chi spetta governare l’Inferno.” disse Belzebù strofinando lentamente con una pezzuola le lenti dei suoi nuovi occhialini tondi.
Astaroth scosse le spalle, con fare annoiato.
“Si può sapere cha hai?” gli chiese Belzebù. “Sembra quasi che la cosa non ti interessi.”
“E se così fosse?”
In quell’istante suonò il telefono. Entrambi si fissarono emozionati, trattenendo il fiato.
“Ah, ma allora ti interessa tamarro che non sei altro….” pensò Belzebù, rispondendo al telefono e azionando il vivavoce.
La voce eccitata di una diavolessa irruppe nella stanza. “Signori Astaroth e Belzebù, buongiorno. Finito lo spoglio delle schede siamo finalmente in grado di comunicarvi chi sarà, da oggi in poi, il nuovo reggente dell’Inferno.Siete pronti?”

C’era voluto qualche mese ma, alla fine, il notaio Delfino era riuscito a rintracciare “l’omone rubizzo con la camicia hawaiana” indicato da Ettore come nuovo proprietario del suo bar, e ogni volta che gli capitava di passare da quelle parti non poteva fare a meno di pensare che aveva scelto proprio la persona giusta come erede.
Il bar, che adesso si chiamava “Da Lu”, era uno dei più noti e frequentati del paese; aveva anche un suo aperitivo, l’”Inferno” che, a detta di tutti, aveva un sapore celestiale, a dispetto del nome. La ricetta era un segreto e girava voce che il proprietario avesse rifiutato l’offerta di una nota casa produttrice di bibite per commercializzarlo su larga scala.
Quando qualcuno gli chiedeva se non si stancasse a stare al bar tutto il giorno, l’omone scuoteva la testa divertito e rispondeva: “Ma questo è niente; dove lavoravo prima, quello sì, era un vero inferno.”

Belzebù era nervoso; aveva appuntamento col Nuovo Principe delle Tenebre da lì a pochi minuti ed era terribilmente in ritardo. Mentre si affannava a percorrere il corridoio si mise a ripensare agli ultimi avvenimenti accaduti all’Inferno...ancora non riusciva a credere di avere perso le elezioni; era così sicuro di avere la vittoria in pugno. E invece…invece gli toccava sgobbare come un dannato, senza un attimo di sosta e senza riconoscimento alcuno. Non c’è giustizia in questo Inferno!!!!
Finalmente era arrivato, e con solo un minuto di ritardo sull’orario previsto; stava per bussare quando Astaroth spalancò la porta.
Rimasero a fissarsi, immobili, per un istante che sembrava infinito, poi Astaroth parlò:
“Vai, ti aspetta ed è incredibilmente nervoso.”
Si incamminò lungo il corridoio con la sua andatura dinnoccolata, ma dopo pochi passi si voltò nuovamente verso di lui. “Buona fortuna.”
Belzebù, per darsi un tono, ravvivò il nodo della sua cravatta regimental e riposizionò meglio gli occhialini sul naso, fissando con terrore la targa in metallo dorato, assicurata, con precisone millimetrica, al centro esatto della porta:

Rag.Rossi
Direttore Infernale
Penitenze, torture e affini
Per Dio, quanto gli mancava Lucifero…

sabato 16 agosto 2008

Una crisi del Diavolo, parte 3

Il signor Rossi, contabile, era sempre stato una persona molto precisa, per cui quando morì il 10 Ottobre alle 10 e 10 non poté fare a meno di provare un brivido d’orgoglio. La sicurezza di finire all’inferno per una storia di fatture truccate non lo turbava più di tanto; era sicuro che grazie alla sua attenzione per i dettagli sarebbe riuscito a trascorrere l’eternità nel migliore dei modi.
Dopo aver attraversato un tunnel pieno di luce si trovò in una grotta sotterranea. Una persona più sensibile avrebbe probabilmente perso qualche minuto ad ammirare le meravigliose stalattiti che, scendendo dalla volta, si univano alle stalagmiti, dando alla grotta l’aspetto di una cattedrale gotica, ma il signor Rossi non era tipo da perdersi in finezze geologiche, per cui proseguì.
Dopo settantadue minuti esatti, si ritrovò di fronte ad una scrivania, dietro a cui era seduta una diavolessa che, vedendolo arrivare, gli sorrise con fare affabile.
“Benvenuto all’inferno, signore. Sono Lilu, posso fare qualcosa per lei?”
Il signor Rossi sorrise a sua volta, felice di aver trovato qualcuno a cui chiedere finalmente informazioni.
“Certo mia cara, avrebbe la cortesia di illustrarmi con la maggiore precisione possibile la tipologia di tortura a cui sarò soggetto per l’eternità?”
La diavolessa sembrò molto imbarazzata nel rispondergli.
“Mi dispiace signore ma in questo momento non mi è proprio possibile soddisfare la sua richiesta; l’Inferno si trova in un periodo di transizione e questo ci porta ad avere seri problemi organizzativi.”
Il signor Rossi si rabbuiò.
“Vuole dire mia cara che non verrò immerso nell’olio bollente?”
Lilu, sempre più imbarazzata, prese ad attorcigliarsi la coda tra le dita.
“Ehm…purtroppo no. Le scorte di olio sono terminate cinque giorni fa e nessuno ha provveduto a riordinarle. Mi dispiace molto.”
“Una terribile mancanza, in effetti. Verrò quindi fustigato per l’eternità?”
“No signore, mi spiace deluderla nuovamente ma il sindacato dei fustigatori è in sciopero ormai da due settimane.”
Il signor Rossi cominciava davvero ad essere seccato.
“Travolto da una bufera incessante e sbatacchiato qua e là?”
“Niente vento, il generatore è rotto.”
“Costretto a trasportare su per una montagna un grosso masso per poi vederlo inevitabilmente rotolare a fondo valle e ricominciare tutto da capo?”
“Anche gli scalpellini addetti a intagliare i massi sono in sciopero.”
“Sepolto sotto il ghiaccio con gli occhi congelati?”
“Le ho già detto del generatore, vero?”
“Costretto a camminare in eterno con la testa rivolta al contrario?”
“Se è una dote naturale…”
Il signor Rossi sbottò, esasperato.
“Non è possibile! Siete disorganizzati ad un livello insostenibile! Vi dovreste vergognare! Voglio esporre un reclamo formale!”
La diavolessa sembrò ringalluzzirsi. “Ecco sì, bravo, quello lo può fare. Prosegua dritto lungo il corridoio di destra fino alla porta dell’ufficio reclami.”
Il signor Rossi partì in quarta deciso a farsi giustizia, ma mentre avanzava lungo il corridoio, finalmente capì. Sarebbe stata quella la sua punizione: probabilmente l’ufficio reclami sarebbe stato una vera e propria bolgia, con migliaia di dannati ammassati in una stanza senz’aria condizionata aspettando in coda il proprio turno per l’eternità.
Ora che sapeva a cosa andava incontro si sentiva molto meglio. Riusciva quasi ad apprezzare anche la sorpresa fattagli dalla diavolessa addetta alla reception; ogni tanto un pizzico di imprevisto, in effetti, non guastava.
Arrivò di fronte alla porta dell’ufficio reclami carico di aspettativa. Poggiò solennemente la mano sulla maniglia e spinse con veemenza, pronto ad affrontare la sua punizione con dignità.
L’ufficio reclami era una stanza ampia e piuttosto luminosa, considerando che si trovava chilometri e chilometri sotto il manto terrestre; i muri erano colorati in tinte pastello e, dietro ad uno sportello, una diavolessa in tailleur sorrideva cortese al signor Rossi.
“Prego signore, si accomodi. Troverà i moduli per le varie tipologie di reclamo sullo scaffale alla sua destra, accanto alle matite. Può sedersi a compilare il modulo in tutta calma a quella scrivania là in fondo. Non esiti a rivolgersi a me per qualsiasi dubbio o necessità di chiarimenti. Le auguro una felice permanenza all’Inferno.”

Astaroth era stravolto; per gli ultimi due mesi non aveva fatto altro che dedicarsi alla campagna elettorale. Vagare di girone in girone, di cerchio in cerchio, era una vera faticaccia. Lo confortava unicamente la certezza di avere, praticamente, la vittoria in pugno.
I suoi comizi erano dei veri e propri eventi; altro che quei noiosissimi simposi tenuti da Belzebù con ore ed ore di spiegazione con grafici e statistiche di produttività.
No, lui faceva le cose in grande! Fuoco, fiamme, diavolette coriste in bikini, pipistrelli che si libravano sul palco…sembrava un concerto di Ozzy Osbourne. Si era procurato un nuovo completo di pelle nera: gilet, pantaloni e stivali, ed entrava sul palco a cavallo di un Harley Davidson. La folla lo acclamava! Oramai il giorno delle elezioni era una pura e semplice formalità.
Per quella sera era previsto il primo confronto tra lui e Belzebù. Mentre percorreva i corridoi che portavano al suo alloggio non poteva fare a meno di immaginare l’ovazione dei dannati al suo ingresso sul palco e la conseguente delusione dell’avversario; sul suo volto comparve un sorriso maligno che si spense subito, non appena si accorse delle voci.
“…e quell’imbecille di Astaroth? Con quel completino da cacciatore di taglie di provincia?!”
“Che idiota! E come si esalta quando, per prenderlo in giro, la folla lo acclama. Chissà per stasera cosa ci ha preparato? Come minimo suonerà l’Inno Infernale e poi spaccherà la chitarra elettrica in mille pezzi…”
Terrorizzato si rese conto che i proprietari delle voci si trovavano a pochi metri da lui, giusto dietro l’angolo, e che, sghignazzando come pazzi, si avvicinavano rapidamente.
Si guardò intorno ma non vi era modo di evitarli. Rimase lì, al centro del corridoio, paralizzato dall’imbarazzo, finché i due demoni non gli si avvicinarono, con grandi sorrisi sul volto.
“Astaroth, grande! Non vediamo l’ora di vederti sul palco questa sera.”
“Sì, davvero, non stiamo più nella pelle. Saremo in prima fila.”
Li guardò allontanarsi, ridendo sguaiatamente e dandosi di gomito; poi, lentamente, riprese a camminare verso il suo alloggio, trascinando dietro di sé la lunga coda.

mercoledì 13 agosto 2008

Una crisi del Diavolo, parte 2

Astaroth sedeva alla scrivania del Grande Capo, fingendo fosse la sua. Adorava starsene ore ed ore sprofondato nella poltrona dirigenziale con le gambe incrociate sul ripiano e un cubano stretto tra i denti.
D’altronde, da quando Lucifero se n’era andato, non c’era poi molto altro da fare.
Tutti pensavano che lui o quel perfettino di Belzebù avrebbero preso il suo posto ma, a quanto pareva, non era così semplice…d’altronde nessuno sapeva bene come comportarsi; era la prima volta che il trono infernale restava vacante.
Belzebù entrò accigliato nella stanza; lanciando uno sguardo di gelida disapprovazione ai suoi Camperos.
“Ti spiacerebbe togliere quei dannati stivali dalla scrivania? Tra poco abbiamo una riunione.”
Astaroth capì che non era il caso di provocarlo ed obbedì, senza fare storie.
“Un’altra riunione? Ne abbiamo fatta una due giorni fa. Chi ci mandano stavolta dai Piani Alti?”
Belzebù rispose senza sollevare la testa da alcuni fogli che stava scorrendo.
“Credo Gabriele e Michele, come l’altra volta.”
Astaroth sorrise. “Uh, Michele, bene. Speriamo che porti la spada fiammeggiante…”
Belzebù lo fissò con aria preoccupata, posando i fogli che stava leggendo sulla scrivania.
“Qui è un casino, non possiamo continuare così. L’Inferno è come paralizzato. Nessuno prende decisioni; nessuno si occupa dei nuovi arrivati, i sindacati hanno proposto di trasformare l’Inferno in una cooperativa. Dobbiamo trovare una soluzione, prima che sia troppo tardi..”
“Da quanto manca Lucifero ormai?”
“Sei mesi…”
Astaroth schioccò le dita e una fiammella prese vita dal suo pollice; accese il cubano e, dopo averne aspirato un paio di boccate, si chiese a mezza voce.
“Chissà che fine avrà fatto?”

Ettore faceva il barista da quando aveva sedici anni; aveva cominciato aiutando suo zio durante l’estate e non aveva più smesso. Ormai aveva sessant’anni passati, e tutti, sua figlia Giorgia in testa, non facevano che ripetergli che avrebbe dovuto andare in pensione e riposare. “Avrò tutto il tempo del mondo per riposare una volta che sarò morto.” rispondeva ogni volta, con un sorriso sornione in volto, che a sua figlia faceva saltare i nervi.
In effetti, però, tra sé e sé, doveva riconoscere che non era più quello di una volta. Alzarsi all’alba e correre al bar a preparare le colazioni cominciava a pesargli e quando sollevava le casse di birra doveva poi sedersi qualche minuto, altrimenti la schiena non gli dava pace. Ma non lo avrebbe mai ammesso con nessuno.
“Ma cosa ci sarà di così bello nel tuo lavoro, poi?” gli chiedeva sua figlia esasperata.
E quando lui rispondeva “I clienti.” lei si innervosiva davvero; quasi più di quando Ettore sfoderava il suo ben noto sorriso.
Eppure era così; adorava i clienti che passavano dal suo bar. Adorava i clienti abituali, come Marta e Luca, che conosceva fin da quando erano bambini e che ora aspettavano il secondo figlio, ma adorava anche i clienti occasionali, che condividevano con lui piccoli frammenti delle loro vite, prima di scomparire nel nulla da cui erano venuti.
Ultimamente poi c’era quel cliente nuovo che lo incuriosiva non poco.
Ettore ricordava con chiarezza il primo giorno in cui aveva messo piede nel suo bar.
Era corpulento, di un’età indefinibile tra i quaranta e i sessant’anni, di bell’aspetto, a parte il viso arrossato che gli dava un aspetto da naufrago. Indossava una camicia hawaiana dai grandi motivi floreali, un panama e dei bermuda di un colore indefinibile, probabilmente di una taglia sbagliata, dato che facevano difetto sul sedere e davano la buffa impressione che l’uomo avesse la coda.
A dispetto della corporatura massiccia, l’uomo si muoveva in modo aggraziato, con una profonda delicatezza; quasi come temesse di poter rompere qualcosa se solo si fosse distratto un attimo.
Si sedette al bancone, proprio di fianco ad Ettore e gli sorrise.
“Buongiorno, sono nuovo del posto. Cosa potrei ordinare?”
Ettore gli sorrise a sua volta. “Tutto quello che desidera.”
Il sorriso dell’uomo parve farsi ancora più largo. “Perfetto! Potrebbe portarmi per favore un brodino leggero con dei capelli d’angelo? E dell’acqua di fonte, per cortesia. Vorrei restare leggero.”
“Un piatto di maccheroni al sugo e del vino rosso potrebbero andare bene lo stesso?”
L’uomo annuì. “Sì, certamente. E quel liquido arancione in quelle bottigliette dalla forma ridicola, cosa sarebbe?”
Ettore lo fissava sbigottito, faticando a stento a trattenere un sorriso.
“E’ un aperitivo. Davvero non lo conosce? Da mesi la televisione passa la pubblicità un momento sì ed un momento no.”
“Ehm, non guardo la televisione molto spesso, sa?! Posso averne uno, per favore?”
“Ma certo, vuole anche dei salatini mentre aspetta?”
Da quel giorno, risalente ormai a sei mesi prima, l’uomo, imperterrito, che piovesse o ci fosse il sole, si presentava al bar di Ettore per l’ora di pranzo e ogni giorno, finito di mangiare, gli faceva una marea di domande su come funzionavano i vari elettrodomestici o su come andava macinato il caffè e cose così. Dopodiché, andava a sedersi su una delle panchine della passeggiata e restava lì, a fissare il mare, perso in chissà quali pensieri.
Jack era esaltatissimo. Tra poco meno di un’ora avrebbe assistito alla sua prima messa nera; ci aveva messo mesi a convincere Stefano che non era solo un diciannovenne che si fingeva satanista per moda. No, lui in Satana ci credeva davvero. E, finalmente, Stefano aveva accettato di portarlo con sé al Tempio, dove lui e i suoi compagni si incontravano per rendere omaggio al Principe delle tenebre.
Erano in auto già da un’ora. Jack non avrebbe saputo dire dove si trovavano, la campagna immersa nella notte pareva tutta uguale. Finalmente Stefano fermò la macchina.
Mentre scendeva, lo guardò intensamente. “Giacomo, mi raccomando, non farmi fare brutta figura. Mi sono esposto personalmente per portarti qui, stasera e vorrei evitare problemi. Non mi interessa se sei il figlio di mia sorella, qui siamo tutte persone serie e molto motivate.”
Jack scese dall’auto, un po’ infastidito dal rimbrotto dello zio, non era mica più un ragazzino in fondo.
“Sì, sì, certo, tranquillo.”
Non sopportava più quel modo di fare degli adulti; aveva diciannove anni ormai. Era perfettamente in grado di prendere da solo le sue decisioni e invece no; secondo loro era soltanto un ragazzino immaturo che era impossibile prendere sul serio. Come il fatto del nome: aveva deciso di farsi chiamare Jack e loro no, sempre lì a chiamarlo Giacomo. “Giacomo di qua, Giacomo di là…”. Capirai cosa c’è di figo nel chiamarsi Giacomo.
Decise di non pensarci per non rovinarsi la serata.
Si incamminarono in silenzio lungo un sentiero e, dopo qualche minuto, arrivarono davanti ad una piccola chiesa nascosta nella campagna. Vi girarono attorno fino a raggiungere una porta in legno su una delle fiancate.
Stefano bussò tre volte, poi attese un istante e bussò di nuovo, altre tre volte.
La porticina venne aperta e una figura incappucciata che indossava una lunga tunica fece loro segno di entrare.
Si trovarono in quella che, una volta, probabilmente, era la sacrestia.
“Benvenuti fratelli, indossate i paramenti e poi raggiungeteci. La cerimonia sta per cominciare.”
Indossarono cappucci e tuniche e, quindi, seguirono l’uomo all’interno della chiesa vera e propria.
C’era un forte odore d’incenso e la sala era gremita; in sottofondo si sentiva un borbottio, prodotto dai fedeli che parlavano tra loro.
Dopo qualche istante si fece silenzio e dal portone principale della chiesa entrò un uomo, sempre vestito con tunica e cappuccio a nascondergli i lineamenti.
Attraversò la navata senza mai voltarsi verso i presenti, ed infine, si andò a posizionare di fronte all’altare. Dando le spalle alla folla, cominciò a pronunciare quello che probabilmente era un salmo.
Jack si sforzò di capire se l’uomo stava parlando in latino o meno, ma dopo un po’ rinunciò. Anche fosse, lui in latino aveva appena la sufficienza.
Dopo un’ora di quella nenia, intervallata soltanto da qualche risposta da parte dei fedeli e da una specie di paracomunione, a cui lui non aveva potuto partecipare, Jack cominciava ad averne abbastanza. Non era proprio così che si era immaginato la cosa.
Di colpo, la giaculatoria cessò e l’uomo si rivolse alla sala.
“Fratelli, questa sera siamo qui riuniti per evocare Lucifero, il Signore del male, il Principe delle tenebre.” L’uomo si gettò a terra e si inginocchiò.
“Satana, o Signore delle tenebre, io ti invoco. Mostraci la tua presenza, o angelo caduto. Lucifero, principe dell’Inferno, rivelati a noi, tuoi umili servitori. Io ti invoco o demone.”
L’uomo tacque improvvisamente e Jack si rese conto di non stare quasi respirando, teso com’era a cercare di cogliere una seppur minima manifestazione del Maligno.
Per un tempo che parve senza fine non accadde nulla, poi, d’improvviso, un suono terribile si diffuse per la piccola chiesa, facendo sobbalzare i presenti.
“Beep….risponde la segreteria telefonica di Lucifero; sono momentaneamente assente. Lasciate i vostri dati dopo il segnale acustico e verrete ricontattati il più presto possibile.”

Belzebù era disperato. Da ogni girone infernale arrivavano notizie agghiaccianti. Non era possibile continuare così. L’ultima riunione coi rappresentanti dei Piani Alti non aveva dato alcun frutto, come le precedenti, del resto. A volte gli veniva il dubbio che lo facessero apposta a trovare cavilli su cavilli per rallentare l’elezione di un nuovo Signore degli Inferi. L’ultima trovata era che, alla votazione, avevano diritto di partecipare tutti gli addetti ai lavori, sia dei Piani Alti sia dell’Inferno, e già per quello ci sarebbero voluti secoli; come se non bastasse, qualcuno aveva tirato fuori la questione che Dio era uno e trino e che, quindi, era necessario decidere se aveva diritto a votare una sola volta oppure tre. Belzebù cominciava a pensare che l’idea dei sindacati di trasformare l’Inferno in una cooperativa non fosse poi così male.