martedì 19 agosto 2008

Una crisi del Diavolo, gran finale xD

Quella mattina Ettore fece più fatica del solito a svegliarsi; gli sembrava di avere dei macigni al posto degli arti ed ogni movimento gli costava una fatica enorme.
L’idea di non aprire il bar non lo sfiorò nemmeno; in cinquant’anni di onesta carriera lavorativa, era rimasto chiuso solo due volte: la prima era stata quando sua moglie aveva partorito ed aveva dovuto accompagnarla in ospedale; la seconda quando l’avevano operato di appendicite e non era riuscito a lasciare l’ospedale prima dell’ora degli aperitivi.
Stava legando la bicicletta di fronte al bar quando, con suo immenso stupore, si accorse che al suo fianco c’era il suo cliente misterioso, con quell’improbabile camicia hawaiana.
Ettore lo salutò cordialmente; gli piaceva quell’omone. “E’ in anticipo oggi. Di solito la vedo per l’ora di pranzo.”
Lucifero gli sorrise. “Ha ragione, ma oggi la volevo salutare.”
Ettore sollevò la saracinesca. “Ah, va da qualche parte?”
L’uomo gli diede una mano e scosse la testa, dispiaciuto. “No, io no.”
“Allora entri che le preparo un bel caffè.”
Ettore morì un paio d’ore dopo. Nel bar, al momento, non c’era nessuno e quindi nessuno poté vedere, per l’ultima volta, quel sorriso sornione illuminargli il viso, al pensiero di come avrebbe reagito la figlia una volta letto il suo testamento.

Belzebù ed Astaroth sedevano uno accanto all’altro nell’ufficio che, un tempo, era stato di Lucifero.
“Beh, a quanto pare ci siamo; tra poco si saprà a chi spetta governare l’Inferno.” disse Belzebù strofinando lentamente con una pezzuola le lenti dei suoi nuovi occhialini tondi.
Astaroth scosse le spalle, con fare annoiato.
“Si può sapere cha hai?” gli chiese Belzebù. “Sembra quasi che la cosa non ti interessi.”
“E se così fosse?”
In quell’istante suonò il telefono. Entrambi si fissarono emozionati, trattenendo il fiato.
“Ah, ma allora ti interessa tamarro che non sei altro….” pensò Belzebù, rispondendo al telefono e azionando il vivavoce.
La voce eccitata di una diavolessa irruppe nella stanza. “Signori Astaroth e Belzebù, buongiorno. Finito lo spoglio delle schede siamo finalmente in grado di comunicarvi chi sarà, da oggi in poi, il nuovo reggente dell’Inferno.Siete pronti?”

C’era voluto qualche mese ma, alla fine, il notaio Delfino era riuscito a rintracciare “l’omone rubizzo con la camicia hawaiana” indicato da Ettore come nuovo proprietario del suo bar, e ogni volta che gli capitava di passare da quelle parti non poteva fare a meno di pensare che aveva scelto proprio la persona giusta come erede.
Il bar, che adesso si chiamava “Da Lu”, era uno dei più noti e frequentati del paese; aveva anche un suo aperitivo, l’”Inferno” che, a detta di tutti, aveva un sapore celestiale, a dispetto del nome. La ricetta era un segreto e girava voce che il proprietario avesse rifiutato l’offerta di una nota casa produttrice di bibite per commercializzarlo su larga scala.
Quando qualcuno gli chiedeva se non si stancasse a stare al bar tutto il giorno, l’omone scuoteva la testa divertito e rispondeva: “Ma questo è niente; dove lavoravo prima, quello sì, era un vero inferno.”

Belzebù era nervoso; aveva appuntamento col Nuovo Principe delle Tenebre da lì a pochi minuti ed era terribilmente in ritardo. Mentre si affannava a percorrere il corridoio si mise a ripensare agli ultimi avvenimenti accaduti all’Inferno...ancora non riusciva a credere di avere perso le elezioni; era così sicuro di avere la vittoria in pugno. E invece…invece gli toccava sgobbare come un dannato, senza un attimo di sosta e senza riconoscimento alcuno. Non c’è giustizia in questo Inferno!!!!
Finalmente era arrivato, e con solo un minuto di ritardo sull’orario previsto; stava per bussare quando Astaroth spalancò la porta.
Rimasero a fissarsi, immobili, per un istante che sembrava infinito, poi Astaroth parlò:
“Vai, ti aspetta ed è incredibilmente nervoso.”
Si incamminò lungo il corridoio con la sua andatura dinnoccolata, ma dopo pochi passi si voltò nuovamente verso di lui. “Buona fortuna.”
Belzebù, per darsi un tono, ravvivò il nodo della sua cravatta regimental e riposizionò meglio gli occhialini sul naso, fissando con terrore la targa in metallo dorato, assicurata, con precisone millimetrica, al centro esatto della porta:

Rag.Rossi
Direttore Infernale
Penitenze, torture e affini
Per Dio, quanto gli mancava Lucifero…

sabato 16 agosto 2008

Una crisi del Diavolo, parte 3

Il signor Rossi, contabile, era sempre stato una persona molto precisa, per cui quando morì il 10 Ottobre alle 10 e 10 non poté fare a meno di provare un brivido d’orgoglio. La sicurezza di finire all’inferno per una storia di fatture truccate non lo turbava più di tanto; era sicuro che grazie alla sua attenzione per i dettagli sarebbe riuscito a trascorrere l’eternità nel migliore dei modi.
Dopo aver attraversato un tunnel pieno di luce si trovò in una grotta sotterranea. Una persona più sensibile avrebbe probabilmente perso qualche minuto ad ammirare le meravigliose stalattiti che, scendendo dalla volta, si univano alle stalagmiti, dando alla grotta l’aspetto di una cattedrale gotica, ma il signor Rossi non era tipo da perdersi in finezze geologiche, per cui proseguì.
Dopo settantadue minuti esatti, si ritrovò di fronte ad una scrivania, dietro a cui era seduta una diavolessa che, vedendolo arrivare, gli sorrise con fare affabile.
“Benvenuto all’inferno, signore. Sono Lilu, posso fare qualcosa per lei?”
Il signor Rossi sorrise a sua volta, felice di aver trovato qualcuno a cui chiedere finalmente informazioni.
“Certo mia cara, avrebbe la cortesia di illustrarmi con la maggiore precisione possibile la tipologia di tortura a cui sarò soggetto per l’eternità?”
La diavolessa sembrò molto imbarazzata nel rispondergli.
“Mi dispiace signore ma in questo momento non mi è proprio possibile soddisfare la sua richiesta; l’Inferno si trova in un periodo di transizione e questo ci porta ad avere seri problemi organizzativi.”
Il signor Rossi si rabbuiò.
“Vuole dire mia cara che non verrò immerso nell’olio bollente?”
Lilu, sempre più imbarazzata, prese ad attorcigliarsi la coda tra le dita.
“Ehm…purtroppo no. Le scorte di olio sono terminate cinque giorni fa e nessuno ha provveduto a riordinarle. Mi dispiace molto.”
“Una terribile mancanza, in effetti. Verrò quindi fustigato per l’eternità?”
“No signore, mi spiace deluderla nuovamente ma il sindacato dei fustigatori è in sciopero ormai da due settimane.”
Il signor Rossi cominciava davvero ad essere seccato.
“Travolto da una bufera incessante e sbatacchiato qua e là?”
“Niente vento, il generatore è rotto.”
“Costretto a trasportare su per una montagna un grosso masso per poi vederlo inevitabilmente rotolare a fondo valle e ricominciare tutto da capo?”
“Anche gli scalpellini addetti a intagliare i massi sono in sciopero.”
“Sepolto sotto il ghiaccio con gli occhi congelati?”
“Le ho già detto del generatore, vero?”
“Costretto a camminare in eterno con la testa rivolta al contrario?”
“Se è una dote naturale…”
Il signor Rossi sbottò, esasperato.
“Non è possibile! Siete disorganizzati ad un livello insostenibile! Vi dovreste vergognare! Voglio esporre un reclamo formale!”
La diavolessa sembrò ringalluzzirsi. “Ecco sì, bravo, quello lo può fare. Prosegua dritto lungo il corridoio di destra fino alla porta dell’ufficio reclami.”
Il signor Rossi partì in quarta deciso a farsi giustizia, ma mentre avanzava lungo il corridoio, finalmente capì. Sarebbe stata quella la sua punizione: probabilmente l’ufficio reclami sarebbe stato una vera e propria bolgia, con migliaia di dannati ammassati in una stanza senz’aria condizionata aspettando in coda il proprio turno per l’eternità.
Ora che sapeva a cosa andava incontro si sentiva molto meglio. Riusciva quasi ad apprezzare anche la sorpresa fattagli dalla diavolessa addetta alla reception; ogni tanto un pizzico di imprevisto, in effetti, non guastava.
Arrivò di fronte alla porta dell’ufficio reclami carico di aspettativa. Poggiò solennemente la mano sulla maniglia e spinse con veemenza, pronto ad affrontare la sua punizione con dignità.
L’ufficio reclami era una stanza ampia e piuttosto luminosa, considerando che si trovava chilometri e chilometri sotto il manto terrestre; i muri erano colorati in tinte pastello e, dietro ad uno sportello, una diavolessa in tailleur sorrideva cortese al signor Rossi.
“Prego signore, si accomodi. Troverà i moduli per le varie tipologie di reclamo sullo scaffale alla sua destra, accanto alle matite. Può sedersi a compilare il modulo in tutta calma a quella scrivania là in fondo. Non esiti a rivolgersi a me per qualsiasi dubbio o necessità di chiarimenti. Le auguro una felice permanenza all’Inferno.”

Astaroth era stravolto; per gli ultimi due mesi non aveva fatto altro che dedicarsi alla campagna elettorale. Vagare di girone in girone, di cerchio in cerchio, era una vera faticaccia. Lo confortava unicamente la certezza di avere, praticamente, la vittoria in pugno.
I suoi comizi erano dei veri e propri eventi; altro che quei noiosissimi simposi tenuti da Belzebù con ore ed ore di spiegazione con grafici e statistiche di produttività.
No, lui faceva le cose in grande! Fuoco, fiamme, diavolette coriste in bikini, pipistrelli che si libravano sul palco…sembrava un concerto di Ozzy Osbourne. Si era procurato un nuovo completo di pelle nera: gilet, pantaloni e stivali, ed entrava sul palco a cavallo di un Harley Davidson. La folla lo acclamava! Oramai il giorno delle elezioni era una pura e semplice formalità.
Per quella sera era previsto il primo confronto tra lui e Belzebù. Mentre percorreva i corridoi che portavano al suo alloggio non poteva fare a meno di immaginare l’ovazione dei dannati al suo ingresso sul palco e la conseguente delusione dell’avversario; sul suo volto comparve un sorriso maligno che si spense subito, non appena si accorse delle voci.
“…e quell’imbecille di Astaroth? Con quel completino da cacciatore di taglie di provincia?!”
“Che idiota! E come si esalta quando, per prenderlo in giro, la folla lo acclama. Chissà per stasera cosa ci ha preparato? Come minimo suonerà l’Inno Infernale e poi spaccherà la chitarra elettrica in mille pezzi…”
Terrorizzato si rese conto che i proprietari delle voci si trovavano a pochi metri da lui, giusto dietro l’angolo, e che, sghignazzando come pazzi, si avvicinavano rapidamente.
Si guardò intorno ma non vi era modo di evitarli. Rimase lì, al centro del corridoio, paralizzato dall’imbarazzo, finché i due demoni non gli si avvicinarono, con grandi sorrisi sul volto.
“Astaroth, grande! Non vediamo l’ora di vederti sul palco questa sera.”
“Sì, davvero, non stiamo più nella pelle. Saremo in prima fila.”
Li guardò allontanarsi, ridendo sguaiatamente e dandosi di gomito; poi, lentamente, riprese a camminare verso il suo alloggio, trascinando dietro di sé la lunga coda.

mercoledì 13 agosto 2008

Una crisi del Diavolo, parte 2

Astaroth sedeva alla scrivania del Grande Capo, fingendo fosse la sua. Adorava starsene ore ed ore sprofondato nella poltrona dirigenziale con le gambe incrociate sul ripiano e un cubano stretto tra i denti.
D’altronde, da quando Lucifero se n’era andato, non c’era poi molto altro da fare.
Tutti pensavano che lui o quel perfettino di Belzebù avrebbero preso il suo posto ma, a quanto pareva, non era così semplice…d’altronde nessuno sapeva bene come comportarsi; era la prima volta che il trono infernale restava vacante.
Belzebù entrò accigliato nella stanza; lanciando uno sguardo di gelida disapprovazione ai suoi Camperos.
“Ti spiacerebbe togliere quei dannati stivali dalla scrivania? Tra poco abbiamo una riunione.”
Astaroth capì che non era il caso di provocarlo ed obbedì, senza fare storie.
“Un’altra riunione? Ne abbiamo fatta una due giorni fa. Chi ci mandano stavolta dai Piani Alti?”
Belzebù rispose senza sollevare la testa da alcuni fogli che stava scorrendo.
“Credo Gabriele e Michele, come l’altra volta.”
Astaroth sorrise. “Uh, Michele, bene. Speriamo che porti la spada fiammeggiante…”
Belzebù lo fissò con aria preoccupata, posando i fogli che stava leggendo sulla scrivania.
“Qui è un casino, non possiamo continuare così. L’Inferno è come paralizzato. Nessuno prende decisioni; nessuno si occupa dei nuovi arrivati, i sindacati hanno proposto di trasformare l’Inferno in una cooperativa. Dobbiamo trovare una soluzione, prima che sia troppo tardi..”
“Da quanto manca Lucifero ormai?”
“Sei mesi…”
Astaroth schioccò le dita e una fiammella prese vita dal suo pollice; accese il cubano e, dopo averne aspirato un paio di boccate, si chiese a mezza voce.
“Chissà che fine avrà fatto?”

Ettore faceva il barista da quando aveva sedici anni; aveva cominciato aiutando suo zio durante l’estate e non aveva più smesso. Ormai aveva sessant’anni passati, e tutti, sua figlia Giorgia in testa, non facevano che ripetergli che avrebbe dovuto andare in pensione e riposare. “Avrò tutto il tempo del mondo per riposare una volta che sarò morto.” rispondeva ogni volta, con un sorriso sornione in volto, che a sua figlia faceva saltare i nervi.
In effetti, però, tra sé e sé, doveva riconoscere che non era più quello di una volta. Alzarsi all’alba e correre al bar a preparare le colazioni cominciava a pesargli e quando sollevava le casse di birra doveva poi sedersi qualche minuto, altrimenti la schiena non gli dava pace. Ma non lo avrebbe mai ammesso con nessuno.
“Ma cosa ci sarà di così bello nel tuo lavoro, poi?” gli chiedeva sua figlia esasperata.
E quando lui rispondeva “I clienti.” lei si innervosiva davvero; quasi più di quando Ettore sfoderava il suo ben noto sorriso.
Eppure era così; adorava i clienti che passavano dal suo bar. Adorava i clienti abituali, come Marta e Luca, che conosceva fin da quando erano bambini e che ora aspettavano il secondo figlio, ma adorava anche i clienti occasionali, che condividevano con lui piccoli frammenti delle loro vite, prima di scomparire nel nulla da cui erano venuti.
Ultimamente poi c’era quel cliente nuovo che lo incuriosiva non poco.
Ettore ricordava con chiarezza il primo giorno in cui aveva messo piede nel suo bar.
Era corpulento, di un’età indefinibile tra i quaranta e i sessant’anni, di bell’aspetto, a parte il viso arrossato che gli dava un aspetto da naufrago. Indossava una camicia hawaiana dai grandi motivi floreali, un panama e dei bermuda di un colore indefinibile, probabilmente di una taglia sbagliata, dato che facevano difetto sul sedere e davano la buffa impressione che l’uomo avesse la coda.
A dispetto della corporatura massiccia, l’uomo si muoveva in modo aggraziato, con una profonda delicatezza; quasi come temesse di poter rompere qualcosa se solo si fosse distratto un attimo.
Si sedette al bancone, proprio di fianco ad Ettore e gli sorrise.
“Buongiorno, sono nuovo del posto. Cosa potrei ordinare?”
Ettore gli sorrise a sua volta. “Tutto quello che desidera.”
Il sorriso dell’uomo parve farsi ancora più largo. “Perfetto! Potrebbe portarmi per favore un brodino leggero con dei capelli d’angelo? E dell’acqua di fonte, per cortesia. Vorrei restare leggero.”
“Un piatto di maccheroni al sugo e del vino rosso potrebbero andare bene lo stesso?”
L’uomo annuì. “Sì, certamente. E quel liquido arancione in quelle bottigliette dalla forma ridicola, cosa sarebbe?”
Ettore lo fissava sbigottito, faticando a stento a trattenere un sorriso.
“E’ un aperitivo. Davvero non lo conosce? Da mesi la televisione passa la pubblicità un momento sì ed un momento no.”
“Ehm, non guardo la televisione molto spesso, sa?! Posso averne uno, per favore?”
“Ma certo, vuole anche dei salatini mentre aspetta?”
Da quel giorno, risalente ormai a sei mesi prima, l’uomo, imperterrito, che piovesse o ci fosse il sole, si presentava al bar di Ettore per l’ora di pranzo e ogni giorno, finito di mangiare, gli faceva una marea di domande su come funzionavano i vari elettrodomestici o su come andava macinato il caffè e cose così. Dopodiché, andava a sedersi su una delle panchine della passeggiata e restava lì, a fissare il mare, perso in chissà quali pensieri.
Jack era esaltatissimo. Tra poco meno di un’ora avrebbe assistito alla sua prima messa nera; ci aveva messo mesi a convincere Stefano che non era solo un diciannovenne che si fingeva satanista per moda. No, lui in Satana ci credeva davvero. E, finalmente, Stefano aveva accettato di portarlo con sé al Tempio, dove lui e i suoi compagni si incontravano per rendere omaggio al Principe delle tenebre.
Erano in auto già da un’ora. Jack non avrebbe saputo dire dove si trovavano, la campagna immersa nella notte pareva tutta uguale. Finalmente Stefano fermò la macchina.
Mentre scendeva, lo guardò intensamente. “Giacomo, mi raccomando, non farmi fare brutta figura. Mi sono esposto personalmente per portarti qui, stasera e vorrei evitare problemi. Non mi interessa se sei il figlio di mia sorella, qui siamo tutte persone serie e molto motivate.”
Jack scese dall’auto, un po’ infastidito dal rimbrotto dello zio, non era mica più un ragazzino in fondo.
“Sì, sì, certo, tranquillo.”
Non sopportava più quel modo di fare degli adulti; aveva diciannove anni ormai. Era perfettamente in grado di prendere da solo le sue decisioni e invece no; secondo loro era soltanto un ragazzino immaturo che era impossibile prendere sul serio. Come il fatto del nome: aveva deciso di farsi chiamare Jack e loro no, sempre lì a chiamarlo Giacomo. “Giacomo di qua, Giacomo di là…”. Capirai cosa c’è di figo nel chiamarsi Giacomo.
Decise di non pensarci per non rovinarsi la serata.
Si incamminarono in silenzio lungo un sentiero e, dopo qualche minuto, arrivarono davanti ad una piccola chiesa nascosta nella campagna. Vi girarono attorno fino a raggiungere una porta in legno su una delle fiancate.
Stefano bussò tre volte, poi attese un istante e bussò di nuovo, altre tre volte.
La porticina venne aperta e una figura incappucciata che indossava una lunga tunica fece loro segno di entrare.
Si trovarono in quella che, una volta, probabilmente, era la sacrestia.
“Benvenuti fratelli, indossate i paramenti e poi raggiungeteci. La cerimonia sta per cominciare.”
Indossarono cappucci e tuniche e, quindi, seguirono l’uomo all’interno della chiesa vera e propria.
C’era un forte odore d’incenso e la sala era gremita; in sottofondo si sentiva un borbottio, prodotto dai fedeli che parlavano tra loro.
Dopo qualche istante si fece silenzio e dal portone principale della chiesa entrò un uomo, sempre vestito con tunica e cappuccio a nascondergli i lineamenti.
Attraversò la navata senza mai voltarsi verso i presenti, ed infine, si andò a posizionare di fronte all’altare. Dando le spalle alla folla, cominciò a pronunciare quello che probabilmente era un salmo.
Jack si sforzò di capire se l’uomo stava parlando in latino o meno, ma dopo un po’ rinunciò. Anche fosse, lui in latino aveva appena la sufficienza.
Dopo un’ora di quella nenia, intervallata soltanto da qualche risposta da parte dei fedeli e da una specie di paracomunione, a cui lui non aveva potuto partecipare, Jack cominciava ad averne abbastanza. Non era proprio così che si era immaginato la cosa.
Di colpo, la giaculatoria cessò e l’uomo si rivolse alla sala.
“Fratelli, questa sera siamo qui riuniti per evocare Lucifero, il Signore del male, il Principe delle tenebre.” L’uomo si gettò a terra e si inginocchiò.
“Satana, o Signore delle tenebre, io ti invoco. Mostraci la tua presenza, o angelo caduto. Lucifero, principe dell’Inferno, rivelati a noi, tuoi umili servitori. Io ti invoco o demone.”
L’uomo tacque improvvisamente e Jack si rese conto di non stare quasi respirando, teso com’era a cercare di cogliere una seppur minima manifestazione del Maligno.
Per un tempo che parve senza fine non accadde nulla, poi, d’improvviso, un suono terribile si diffuse per la piccola chiesa, facendo sobbalzare i presenti.
“Beep….risponde la segreteria telefonica di Lucifero; sono momentaneamente assente. Lasciate i vostri dati dopo il segnale acustico e verrete ricontattati il più presto possibile.”

Belzebù era disperato. Da ogni girone infernale arrivavano notizie agghiaccianti. Non era possibile continuare così. L’ultima riunione coi rappresentanti dei Piani Alti non aveva dato alcun frutto, come le precedenti, del resto. A volte gli veniva il dubbio che lo facessero apposta a trovare cavilli su cavilli per rallentare l’elezione di un nuovo Signore degli Inferi. L’ultima trovata era che, alla votazione, avevano diritto di partecipare tutti gli addetti ai lavori, sia dei Piani Alti sia dell’Inferno, e già per quello ci sarebbero voluti secoli; come se non bastasse, qualcuno aveva tirato fuori la questione che Dio era uno e trino e che, quindi, era necessario decidere se aveva diritto a votare una sola volta oppure tre. Belzebù cominciava a pensare che l’idea dei sindacati di trasformare l’Inferno in una cooperativa non fosse poi così male.

martedì 12 agosto 2008

Una crisi del Diavolo, parte 1

Grazie a Blacksand per il disegno ^^

Lucifero aprì gli occhi disturbato dal suono fastidioso della sveglia; guardò il quadrante con odio, la spense e decise di voltarsi dall’altra parte. Non sarebbe certo successo il finimondo se si fosse preso altri 5 minuti tutti per sé.
Aveva appena chiuso gli occhi quando qualcuno bussò alla porta.
Saltò sul letto, inviperito. “Chi osa disturbare il Principe delle tenebre?”
Dal corridoio, gli rispose la voce ironica di Belzebù.
“Ovviamente il segretario particolare del Principe delle tenebre.”
Lucifero sbuffò, ma si alzò e si diresse verso la porta, infilandosi, nel contempo, la sua veste da camera preferita.
Fece entrare Belzebù e si sedette nuovamente sul letto.
“Comincia pure.” gli disse con voce annoiata.
Belzebù aprì la cartelletta di pelle di dannato da cui non si separava mai e cominciò a scandire gli impegni della giornata.
“Alle 11,30 è previsto l’arrivo di quel capo di Stato di cui abbiamo già parlato; è un personaggio importante, sarebbe bene lo accogliessi tu, sai, per una questione di immagine. Alle 14,00 c’è la riunione con i demoni che gestiscono il sesto girone; sai, per quel fatto delle ferie…” Belzebù scosse la testa infastidito; da quando all’Inferno erano arrivati i sindacati, il suo lavoro era decuplicato “E, per finire, questa sera alle 21,00 dovresti tenere il discorso di apertura del grande concerto in onore di Dante…”
Lucifero lo guardò con aria interrogativa. “Dante?”
“Sì, Dante, ti ricordi? Quel poeta che è venuto a visitare l’Inferno qualche tempo fa…i dannati gli sono molto riconoscenti per averli scelti come protagonisti del suo libro e ogni anno organizzano un concerto di dodici ore con gruppi rock, reading di poesie, eccetera.”
Lucifero annuì. “Ah sì, il turista scribacchino. Abbiamo finito?”
Belzebù chiuse la cartelletta con uno schiocco secco. “Abbiamo finito.” Restò immobile fissando Lucifero per qualche istante; indeciso sul da farsi, poi, prese il coraggio a due mani, e parlò.
“Lu, so che non sarebbero fatti miei ma io e Astaroth ci stavamo chiedendo se va tutto bene; ultimamente sei strano, ti comporti in modo insolito: non ti diverti più a torturare i dannati, la sera resti chiuso nel tuo antro invece di venire con noi a gozzovigliare alla Taverna di Lilith, ottemperi i tuoi obblighi di reggente in modo apatico…”
Lucifero balzò dal letto, gli occhi fiammeggianti, e prese Belzebù per il colletto dell’elegante completo grigio che indossava, sollevandolo da terra.
“Hai cominciato bene; non sono assolutamente fatti che ti riguardano, in alcun modo. Sono stato chiaro?!”
Belzebù annuì, terrorizzato. “Sì, certo, certo, ti chiedo scusa.”
Lucifero parve calmarsi e, lentamente, lasciò la presa.
“Ora vai.”
Aspettò che Belzebù fosse uscito dalla stanza e tornò a sedersi sul letto.
Con il suo sottoposto aveva mentito ma, in realtà, c’era davvero qualcosa che non andava. Da qualche tempo si sentiva strano, come se la sua eternità non avesse più senso, come se la gestione dell’Inferno fosse diventata un obbligo, anziché un piacere.
Si sfilò la vestaglia e la gettò ai piedi del letto, dirigendosi verso il bagno; una bella doccia di lava incandescente sarebbe servita a calmarlo almeno un po’.
Alle 11,20, in perfetto anticipo, si presentò all’Antinferno, per accogliere il famoso capo di Stato. Il comitato di benvenuto era già schierato in tutta la sua magnificenza, con Astaroth e Belzebù in prima fila.
Belzebù gli sorrise, con fare nervoso, e Lucifero, con un cenno del capo, rispose al saluto.
Si chiedeva se il sottoposto avesse fatto parola con qualcuno di quanto avvenuto quella mattina; conoscendolo, probabilmente no; Belzebù era sempre molto attento riguardo ai suoi comportamenti ed era solito pianificare ogni sua azione con la massima precisione.
Il suono di una sirena li avvertì dell’imminente arrivo del nuovo dannato e, dopo pochi istanti, i cancelli dell’Antinferno si spalancarono.
Lucifero si staccò dal gruppo e, con fare fintamente cordiale, si diresse verso il nuovo arrivato.
“Signor B, finalmente. Aspettavamo da anni il suo arrivo tra le nostre schiere, è un vero onore averla tra noi!” Non scherzava; quell’uomo tra guerre, disastri economici ed inquinamento selvaggio aveva dato lavoro all’inferno per anni. Un tempo sarebbe stato davvero onorato di stringergli la mano ma, ormai, la cosa non gli tangeva più di tanto. “Mi permetta di illustrarle i nostri cerchi, al fine di trovarne uno di suo gradimento. Mi segua, per favore.”
Aveva scorrazzato il dannato per tutto l’Inferno, illustrandogli con voce esperta le peculiarità di ogni girone; la noia non l’aveva abbandonato un solo istante. L’unica nota positiva, in tutto ciò, era che, impegnato com’era a fare il cicerone, aveva evitato la riunione coi sindacati infernali.
Purtroppo, invece, gli era toccato il discorso d’apertura del concerto; non capiva l’entusiasmo dei dannati per quel Dante. Lui ne aveva appena un ricordo sbiadito, un italiano alto, dal profilo aquilino, nulla di che…
Dopo che un paio di gruppi si erano alternati sul palco, era riuscito, finalmente, a defilarsi, senza destare sospetti. Solo Belzebù lo aveva guardato accigliato, ma la scusa di un mal di testa infernale, sembrava averlo tranquillizzato.
Ora era in camera sua, seduto sulla sua poltrona preferita. La tenue luce di una candela illuminava le pagine del libro che teneva tra le mani, il “Dizionario del Diavolo”, uno dei suoi preferiti. Quella sera, però, nemmeno il sagace sarcasmo di Ambrose Bierce riusciva a rallegrarlo e, dopo poche pagine, decise di lasciar perdere.
Si alzò dalla poltrona e cominciò a camminare per la stanza, attraversandola, da un capo all’altro, con pochi passi nervosi. D’un tratto alzò gli occhi, come se un pensiero improvviso lo avesse colpito con tutta la sua forza. Dapprima si infuriò, cominciando a inveire contro tutto e tutti, poi sembrò calmarsi e rimase immobile, con lo sguardo vacuo, per un tempo che pareva infinito, ed infine, scoppiò a ridere. A ridere come mai aveva riso. Le lacrime agli occhi, il torace possente scosso da spasmi irrefrenabili, la bocca spalancata in una risata che pareva sconquassare le fondamenta stesse dell’inferno. Il Principe delle tenebre rideva senza sosta, rendendosi conto di essere stato ingannato per millenni.
Belzebù era nervoso; la sera prima tutti avevano notato Satana andarsene alla chetichella dal concerto e, tra i dannati, cominciavano a diffondersi numerosi commenti sullo strano comportamento del Signore delle tenebre. Non poteva accettarlo; in quanto portavoce dell’Inferno non poteva tollerare un simile calo di autorità. Se Satana perdeva l’aura di terrore che lo ammantava da secoli, permettendo ai dannati di prenderlo in giro, ne sarebbe andata dell’immagine di tutta l’impresa; nessuno avrebbe più temuto l’Inferno e, allora, sarebbero stati guai seri. Non riusciva a immaginare nulla di peggio!
Si ravvivò il nodo alla cravatta, cercando di darsi un tono, quindi bussò alla porta del Principe delle tenebre. Dopo qualche istante, non ottenendo risposta, bussò nuovamente. Anche questa volta non ebbe altra risposta che il silenzio ed un terribile sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente.
Forse, alla fin fine, riusciva a immaginare qualcosa di peggio…
Facendosi coraggio, aprì la porta ed entrò, richiudendosela velocemente alle spalle.
Come temeva, la stanza era vuota.
Il letto immacolato, un libro chiuso posato sul tavolino a lato della poltrona con accanto una candela consumata a metà. Nella stanza non vi era altro.
Belzebù si sentì mancare.
Si lasciò cadere seduto sul letto, trovandosi a fissare la porta. Sull’uscio era inchiodata una pergamena su cui stava scritto il suo nome. Senza nemmeno rendersene conto, si avvicinò alla porta e la staccò da essa. Prima di aprirla, però, in un attimo di lucidità, preferì accomodarsi sulla poltrona.

Inferno, Anno Satani[…], l’ora non importa
Caro Bel,
quando leggerai questa mia missiva sarò già lontano,
so di darti un dispiacere con questa mia decisione ma, come tu ben sai, non sono mai stato un mostro di empatia, no?! Cioè mostro sì, ma quanto a empatia ho sempre lasciato un po’ a desiderare…ma non divaghiamo. Ho deciso di andarmene dall’Inferno.
Ieri sera ho avuto un’illuminazione. Buffo, vero? Io, Lucifero, il portatore di luce, che ho un illuminazione. C’è un che di ironico, in tutto ciò.
Comunque sia, mi sono reso conto che io da millenni passo le mie giornate a punire i peccatori ma, in effetti, non mi sono mai posto il problema del perché lo faccio. Voglio dire…io sono l’angelo ribelle, il primo nella storia che ha osato ribellarsi al Signore e quindi che faccio? Passo l’eternità a torturare altri che, come me, non sentivano propri gli insegnamenti divini. Non ti sembra un po’ incoerente?!
Conoscendoti probabilmente no, ma tant’è.
Per cui ciao, divertiti, non lavorare troppo e tutte quelle cose lì.
All’Armageddon,
Luci
PS Dirti di non cercarmi è superfluo, vero?!
PPS A proposito di Armageddon. Lasciarti da solo ad occupartene ammetto sia un po’ egoista da parte mia vista la grande mole di lavoro, quindi pensavo, perché non chiedi una mano a Giovanni, lo scenografo?! Mi sembrava avere le idee molto chiare in tal senso.

lunedì 4 agosto 2008

Elisa

Purtroppo ultimamente il tempo per scrivere è davvero poco, ma prima o poi riuscirò a recuperare, promesso. Intanto vi lascio con questo racconto scritto parecchio tempo fa, spero vi piaccia.

Quella notte non c’erano stelle. Come avessero deciso che non valeva la pena sbattersi per illuminare una notte così triste.
Luca guidava la vespa senza pensarci, come fosse in trance.
Non capiva il discorso che Elisa gli aveva fatto: «E' meglio se non ci vediamo per un po’…Devo capire certe cose…».
Luca davvero non capiva, il giorno prima avevano fatto l’amore, lei gli aveva sorriso e lui aveva creduto di scoppiare per la felicità. Non capiva…e questo, davvero, lo faceva incazzare.
Una Golf gli inchioda davanti. Luca smadonna, l’altro sorride e si allontana.
«Zarro di merda!»
Luca imbocca Corso Genova. Elisa non ha nemmeno voluto essere riaccompagnata a casa. «Mi accompagna più tardi Sara, in macchina.»
Già se le immagina Elisa e le altre stronze delle sue amiche a cercare di psicoanalizzarlo…
«Dai, poverino, Eli, devi capirlo. Quando aveva sei anni suo padre non gli ha comprato il cane e lui ha sofferto; è normale che si comporti così. Certo che tu non c’entri, non ha proprio il diritto di farti soffrire. Come non ti fa soffrire?! Ma se la settimana scorsa non ti ha portato alla festa di Frà, perché era stanco, poteva sforzarsi, no?! Secondo me dovresti lasciarlo. Sai, non per farmi i fatti tuoi, ma ho letto su internet che i ragazzi con gli occhi verdi tradiscono il 10% in più rispetto agli altri.»
Sicuramente l’idea di “non vedersi per un po’” era nata da una di quelle cretine. Ma davvero Elisa era così stupida da dare retta a loro?!
Luca davvero non capiva.
«Ho sedici anni e già non capisco niente delle donne. Sembrava così felice, così…non so, non capisco proprio.»
Cento metri più avanti c’è casa sua. Luca spegne la vespa e si accende una sigaretta; mentre rimette l’accendino in tasca, alza gli occhi e la vede.
Lei è lì, appoggiata al muro e guarda verso il cielo.
Luca la osserva mentre la sigaretta si consuma, lenta, tra le sue dita.
Avrà la sua età o poco più. Che ci fa da sola alle due di notte appoggiata a un muro?! E se sta male?! E se è scappata di casa?! E se è un vampiro?!
Luca butta il mozzicone e le si avvicina.
La ragazza lo guarda da sotto una frangia di capelli nerissimi, sorride.
Luca adesso le è proprio di fronte.
Lei si sfiora i capelli, la manica del maglione che indossa si ritira un po’, mostrando un tatuaggio sul polso sinistro. Un simbolo strano, che Luca non ha mai visto.
«Stai bene?»
Lei non risponde e Luca si sente in imbarazzo.
«Sei sicura di star bene?»
La ragazza continua a guardarlo e sorride.
Luca sorride a sua volta; il volto della ragazza è talmente pieno di gioia da essere contagioso. Le offre una sigaretta, lei la prende e lo guarda negli occhi.
Luca cerca l’accendino, lo trova e glielo passa.
Si sente stupido a sorridere ma, improvvisamente, si rende conto di non stare pensando a Elisa e alla fine della loro storia. Perché Luca ormai l’ha capito che la loro storia è finita, che Elisa non lo ama più.
«E’ la fine.» Dice, quasi a se stesso.
La ragazza sorride di nuovo e, per la prima volta, parla: «Come hai detto?»
Luca alza le spalle. «Niente. Ho detto che è la fine.»
La ragazza butta sul marciapiede quel che rimane della sigaretta.
«Si, è la fine. E’ proprio la fine.»
Prende Luca per mano e gli da un bacio sulla fronte.
«Dobbiamo andare. Mi dispiace.»
Luca adesso la guarda bene e comincia a capire, annuisce.
«Quella Golf non l’ho evitata, vero?»
La ragazza annuisce. La sua mano in quella di Luca è calda, lui la stringe forte. Si abbracciano.
«Perché non mi hai preso subito?»
«Avevi qualcosa che ti tratteneva…»
«Elisa.»
«Si.»
«Soffrirà molto?»
«No, non molto. Ti dispiace?»
Luca alza le spalle. «Era solo una stupida; solo ora me ne rendo conto…»
La ragazza scoppia a ridere, una risata bellissima.
«Certo che sei un bel tipo! Sei morto da appena un quarto d’ora e già ti metti a giudicare i vivi.»
«Io mi chiamo Luca. E tu?»
«Elisa.»
«Giura.»
«Giuro.»
«Che storia! Fa freddo dove andiamo?»

L’autista della Golf si passa la mano nei capelli e sorride, il poliziotto lo guarda e vorrebbe prenderlo a schiaffi.
Si avvicina al corpo del ragazzo steso sull’asfalto, si china verso Luca.
«Capo, può venire un attimo?»
L’uomo si avvicina.
«Guardi. Non le sembra stia sorridendo?»
«Ma cosa dice?! Voi giovani…veda di fare quel che deve. In fretta possibilmente.»
Il poliziotto si rialza, è certo di quello che ha visto. Il ragazzo prima non sorrideva, mentre ora…
Ripensa ancora una volta a sua sorella Elisa, morta l’anno prima in un incidente simile. Per un istante gli sembra quasi di sentirla ridere, poi scuote la testa e torna verso la macchina.
«Che strano, non ci sono stelle stanotte...»

Brillante Weblog 2008



Con un ritardo veramente impressionante, eccomi qui a ritirare/assegnare il premio Brillante Weblog 2008.

Un grazie infinito a Gea per avermi assegnato questo premio!!! Mi sono commossa! :)

Ed ora...tadadadàààà...le nomination:

  1. a Gea perchè con i suoi colori riesce ad illuminare anche la giornata più nera!!!!
  2. a Grazia, capace di raccontare il mondo con pochi scatti e tanta sensibilità.
  3. a Blacksand perchè, leggendo i suoi resoconti, sembra quasi che lavoriamo davvero!!! xD xD
  4. a Sergio perchè riesce a mischiare impegno e cazzonaggine in un cocktail spettacolare.
  5. al Vignez perchè leggendo il suo blog mi ricordo di come passo le mie giornate ;)
  6. ai Tatini perchè fanno dei lavori meravigliosi!
  7. a Splendenteelfo perchè adoro perdermi negli adorabili labirinti della sua mente. ^^

Per chi volesse partecipare ecco il regolamento:

REGOLAMENTO

Il Brillante weblog è un premio assegnato ai siti e i blog che risaltano per la loro brillantezza sia per quanto riguarda i temi che per il design. Lo scopo è quello di promuovere tutti nella blogosfera mondiale!
1. al ricevimento del premio, bisogna scrivere un post mostrando il premio e citare il nome di chi ti ha premiato mostrando il link del suo blog;
2. scegli un minimo di 7 blog (o di più) che credi siano brillanti nei loro temi o nel loro design. Esibisci il loro nome e il loro link e avvisali che hanno ottenuto il Premio “Brillante Weblog”
3. (facoltativo) esibire la foto (il profilo) di chi ti ha premiato e di chi viene premiato nel tuo blog.